Spesso mi capita di sedermi ad un tavolo non perché è ora di mangiare ma perché i profumi che si innalzano dalle cucine per strada o la curiosità di capire che sapore possa avere quello che è disposto sulle bancarelle catturano la mia attenzione, scatenando la tentazione del provare il gusto dell’esotica vivanda.
I posti che ritengo migliori per fermarsi a mangiare sono sempre quelli dai muri scrostati, come quello dove mi trovo ora in attesa di una zuppa di tagliatelle di riso con manzo.
Il fumo esce dal calderone dove, come quasi sempre, un’anziana ed esperta signora cuoce il delizioso brodo da chissà quante ore. A fianco c’è un tavolo con un tagliere di legno e sopra tutti gli ingredienti da gettare dentro ai piatti che attendono di essere mangiati.
Molte volte capita di trovare cucine dove servono un’unica specialità, davvero ottima. Decenni di pratica hanno fatto del cuoco un virtuoso dell’unico piatto che si può provare al suo cospetto.
Sul tavolo di acciaio inossidabile dove mi siedo ci sono contenitori di salse e salsine: la sempre presente salsa di soia, quella di pesce utilizzata spesso come sostituto del sale, limoncini tagliati e pronti per essere spremuti e ovviamente il peperoncino piccante. Più altre sostanze liquide che non so cosa siano.
Le bacchette cinesi e i cucchiai sono nel contenitore a fianco, pronti per essere impugnati sotto l’occhio scrutatore dei commensali locali seduti accanto …riuscirà un occidentale ad usare le asticciole asiatiche? In posti come questo c’è da scordarsi i coltelli, spesso anche le forchette non si trovano.
L’attesa in genere non è lunga e un aiutante porta il succulento, brodoso e ancora fumante piatto. Mi allunga un bicchiere di tè verde freddo con un cubetto di ghiaccio che è quasi più grosso del contenitore stesso, servito per pochi centesimi.
La tecnica è tutto nell’usare le bacchette cinesi e le tagliatelle hanno la particolare tendenza a scivolare via giusto un millimetro prima di essere addentate.
Le erbette, come l’erba cipollina, stagliuzzate nel piatto, la carne e le verdure immerse nel brodo e accompagnate dalla pasta di riso si mischiano deliziosamente, tutto legato alla perfezione e insaporito dall’aggiunta a piacere di un po’ di peperoncino piccante e limone.
La prelibatezza che assaporo fa dimenticare il rumore assordante proveniente dal televisore sparato a tutto volume e dalla perennemente trafficata strada adiacente.
Ma non è ancora tutto quello che c’è sul tavolo a disposizione per arricchire il sapore del piatto! Un recipiente con uova di quaglia e un paio di involtini di pasta di pesce posti in foglie di banana da immergere nel brodo e, ancora, un contenitore di plastica con altre erbe da tagliare ed aggiungere viene portato sul tavolo ormai stracolmo.
La gente del posto va e viene di continuo, sedendosi a mangiare e a raccontarsi le loro vite su uno dei sette o otto tavoli del localino, che in tutto possono ospitare una trentina di persone. Di solito posti come questo offrono anche cibo da asporto, tutto considerato è un buon business!
Il ventilatore a palettoni, posto sul soffitto, rumorosamente produce aria che ci permette di respirare un po’ in questo caldo afoso.
Spesso mi capita di trovare luoghi dove il menù è solo scritto nella lingua locale, quindi no inglese, quindi…che si mangia?!
Le soluzioni sono bene o male tre…
La più semplice, forse la più sicura, è osservare la gente ai tavoli attorno e puntare uno dei piatti che pare più interessante. Facendo segno a qualcuno del personale che poi servirà la copia di quello che è stato sagacemente scelto, spesso facendo cenno affermativo con la testa a qualsiasi cosa venga incomprensibilmente proposta.
Altra soluzione, se si è un po’ più coraggiosi, è entrare con un bel sorrisone nelle cucine, o dove viene preparato il cibo, ed analizzare il contenuto dei contenitori. A volte scoperchiando pentole e pentoloni. Se si è cordiali di solito si finisce sempre in grasse risate con chi sta cucinando. La foto che di questo articolo è di alcune cuoche di un piccolo ristorantino in Kirghizistan, che gentilmente e felicemente si sono messe a posare per una foto ricordo dopo un’incursione nelle loro cucine.
…puntare con il dito cosa pare adatto, tornare al tavolo e attendere…
Ultima soluzione, un po’ più estrema e per chi non ha il timore di ritrovarsi qualsiasi cosa nel piatto, è quella di utilizzare il menu nell’oscura da comprendere lingua locale e tentare la fortuna puntando una riga a caso, magari anche facendo finta di sapere cosa si sta ordinando. Tecnica forse più audace, ma che spesso porta ad ottime scoperte!
C’è anche la soluzione alternativa dall’avere un’amicizia locale che parli inglese e che gentilmente traduca!
Un ottimo lavoro di stuzzicadente conclude la permanenza nel ristorantino locale, prima di richiedere il conto tentando di utilizzare quelle due o tre frasi imparate della lingua del posto e che fanno quasi sempre ridere la gente attorno.
Esco soddisfatto almeno il 90% delle volte, spesso senza essere del tutto certo di cosa abbia mangiato…