• Autore dell'articolo:
  • Categoria dell'articolo:Persone

– Jae Sung, la sua vita con la macchina fotografica in mano e un contagioso sereno sorriso in volto.


Ho incontrato Jae Sung per la prima volta circa un anno fa, mi ha sempre affascinato il suo modo sorridente di affrontare la vita, in sua presenza si genera una serenità difficilmente donata da altre persone.

Nato a Seoul vicino al Pagoda Park, nell’area centrale della capitale della Corea del Sud: “Era il mio parco giochi! Ho tanti ricordi di quell’area che ora, a distanza di una cinquantina d’anni, è del tutto diversa. Tutti questi palazzi e grattacieli non c’erano ancora.”

“Mio padre avrebbe voluto che studiassi economia, ma la mia risposta fu diretta e precisa…No! Allora mi propose di iscrivermi all’università di giurisprudenza, altra idea che rifiutai categoricamente. Mi chiese dunque che cosa avessi voluto fare…domanda alla quale non avevo una precisa risposta. Seguendo le sue orme mi saprebbe piaciuto diventare giornalista e lavorare in una redazione, soprattutto mi interessava il fotogiornalismo in quanto ho sempre amato la fotografia. 

Quando ero alle scuole superiori frequentai un club di fotografi, da questa esperienza maturò la mia passione per la macchina fotografica. Mio padre non sapeva nulla di tutto ciò, inoltre avevamo idee totalmente differenti per quel che riguardava il mio futuro. 

Tentai comunque di passare l’esame per entrare all’università di economia, ma non ero preparato abbastanza e fallì. Allora provai con la facoltà di letteratura francese, ma anche qui non andò bene, non mi interessavano questo tipo di studi.”

“Mi trovai di nuovo al cospetto di mio padre che mi chiese, per la seconda volta, cosa avessi voluto fare della vita: la scelta era fra il continuare a studiare e ottenere una laurea o entrare nell’esercito immediatamente…decisi di continuare a studiare.” Nella Corea del Sud il servizio militare ai tempi era di 3 anni e, come lo è tutt’ora, obbligatorio.

“Mi propose di nuovo economia, legge o letteratura. Ma io odiavo davvero molto studiare…così iniziai segretamente a lavorare. Diventai un DJ presso un ristorante in Gangnam. E ovviamente quando tentai di passare l’esame non trovai il successo, in quanto questa volta non avevo studiato nulla. Dopo diversi tentativi fallimentari mi feci coraggio e, finalmente, decisi di iscrivermi a una delle più famose accademie di fotografia di Seoul, utilizzando i soldi che avevo guadagnato lavorando. Un corso di laurea davvero impegnativo, l’esame di ammissione fu molto difficile da superare, ricordo che avevo così tanta paura di fallire che non trovai la forza di andare a vedere i cartelloni che esponevano i risultati del test davanti all’istituto. Ai tempi non c’era ancora Internet dove poter consultare online gli esiti, così mandai mio fratello a controllare per me…mi chiamò per telefono, ricordo vividamente l’emozione intensa che provai alle sue parole: ce l’hai fatta!!” E ridendo Jae Sung aggiunge “E ora come farai a dirlo a papà?!” 

“Non potevo dire a mio padre quello che avevo combinato, o non avrei più potuto vivere sotto il suo stesso tetto…Purtroppo il denaro che avevo guadagnato non sarebbe bastato per completare i corsi di studi, decisi allora di raccontare tutto a mia madre, che ne rimase piuttosto sorpresa. Mi aiutò comunque a ottenere un finanziamento per l’accademia e segretamente pagammo i miei corsi, mentre mio padre continuava a pensare che stessi ancora cercando di passare il test di ammissione all’università di economia. 

Un giorno decisi che era arrivato il momento di raccontare tutta la verità, questa storia non sarebbe potuta rimanere in piedi per sempre. Quindi confessai a mio padre quel che stava succedendo, la sua reazione mi spiazzò completamente…

Una volta che venne a sapere che avevo passato l’esame per l’accademia di fotografia e che avevo iniziato gli studi, invece di andare su tutte le furie, ne rimase felicemente sorpreso. Era talmente contento che la prima cosa che mi disse fu: quanti soldi ti servono?”

“Essendo lui un giornalista e io avendo un interesse simile al suo, mi aiutò molto, dandomi parecchi consigli, soprattutto per quello che riguarda il modo di inquadrare le scene. Mi spinse e incoraggiò a esercitarmi. Anziché usare la penna come lui faceva avevo scelto la macchina fotografica per esprimere una simile passione per il giornalismo.
Non ero interessato agli altri tipi di fotografia, non ero per paesaggi o ritratti, volevo diventare fotogiornalista.
Iniziai a fare molti scatti di Seoul e di quello che capitava nei quartieri più poveri, ai tempi la Corea del Sud era piuttosto diversa da oggi. Inoltre in quel periodo, erano gli anni 80, si organizzavano molte proteste studentesche, volevo documentare quello che stava succedendo nella mia città. Ricordo di avere ricevuto manganellate ed essere stato picchiato dalla polizia diverse volte, per evitare gli effetti dei gas lacrimogeni mi proteggevo la faccia con maschere autoprodotte usando la pellicola per conservare gli alimenti, altrimenti non avrei potuto tenere gli occhi aperti per i miei scatti. A volte capitava che gli agenti mi sequestrassero i rullini fotografici. Volevo testimoniare, con le mie foto per le strade, quello che chiamavamo Seoul Spring. ” Un periodo di democratizzazione della Corea del sud che va dalla fine del 1979 all’inizio del 1980, dopo l’assassinio del presidente Park Chung-Hee. 

“Sicuramente il periodo più importante della mia vita, avevo circa 24 anni. Mi creai un buon portfolio fatto di fotografie scattate durante quei tempi. 

Ero un ottimo studente con ottimi voti e l’accademia mi offrì un’opportunità, trovandomi un lavoro presso un’agenzia di modelli. Non mi aspettavo questo tipo di esperienza, soprattutto perchè scattare fotografie a persone in posa non era quello che mi piaceva, ma uno dei miei professori mi chiamò dicendomi che mi volevano dallo studio di modelli e che erano interessati ad assumermi. Accettai, era la mia prima esperienza ufficiale da fotografo, non sapendo che stavo per iniziare a lavorare per uno degli studi più grandi e importanti del paese, con le più famose top model, attrici e attori del tempo. 

Mi piaceva fotografare ritratti, ma non era proprio il lavoro che sognavo, inoltre mi diedero diversi compiti amministrativi nell’azienda. Decisi di lasciare e di concentrarmi solo su quello che mi appassionava: stare dietro l’obiettivo della mia macchina fotografica!”

“Trovai un nuovo lavoro presso Travel Korea, la rivista di viaggi più importante del paese, andavo in giro per hotel e ristoranti facendo foto. Non era male, ma, di nuovo, non quello che cercavo nella mia carriera lavorativa e nella mia vita. Quindi iniziai il mio terzo lavoro, per un settimanale, dove avevo molta libertà per quel che riguardava i miei scatti fotografici, potevo fare quello che mi interessava.

A quel tempo l’ex dittatore Chun Doo-hwan si auto esiliò con la famiglia per diversi anni su una montagna, in un isolato tempio buddista nella provincia di Gangwon-do. Una sorta di scandalo occorse quando iniziò a circolare la voce che la moglie prese un elicottero per andare a fare shopping a Seoul. Diversi giornalisti tentarono di raggiungere il suo rifugio, ma la via era bloccata dalla sicurezza personale dell’ex dittatore. Per raggiungere la cima ci sarebbero volute più di due ore a piedi nella neve, il bus non trasportava che monaci o chi lavorava al tempio. La scelta era tornare a Seoul o tentare di proseguire in un modo o nell’altro. I miei colleghi giornalisti decisero di tornare a casa ma io volevo scattare delle foto del posto e mostrare a tutti che la moglie dell’ex dittatore non era lì con lui. 

Reduce da poco dal mio servizio militare e incoraggiato del fatto di voler mostrare che valevo qualcosa alla mia ragazza del tempo, oggi la donna che ho sposato, decisi di tentare il tutto per tutto: aspettai la notte e attraversai guadando il fiume, nella gelida acqua fino alle ginocchia. Era inverno, nevicava, i miei piedi stavano ghiacciandosi, tremavo dal freddo, pensavo che sarei morto. Ricordando l’addestramento dell’esercito coprii il mio corpo di foglie per riscaldarmi. Passai la notte e quando il sole stava per spuntare ero quasi sulla cima della montagna, arrivai sopra il tempio, ce l’avevo fatta! Ora dovevo scattare qualche foto per testimoniare cosa stava avvenendo. Osservando la scena dall’alto, cercando di coprire i riflessi del sole sulla mia lente per non farmi scoprire dalla sicurezza, notai che il figlio dell’ex dittatore entrava e usciva dalle stanze senza esitazione e senza bussare. Se la madre fosse stata lì sicuramente non si sarebbe mai permesso questo tipo di atteggiamento. Quindi ne dedussi che la storia era vera! Mi avvicinai di più per riuscire a fotografare la scena, ma venni scoperto dalle guardie che mi confiscarono e distrussero tutti i rullini. Fortunatamente riuscì a salvare gli scatti che avevo effettuato con un’altra macchina più piccola che non mi trovarono.

Mi rimandarono a valle, ma volevo scattare più foto al tempio: la sistemazione che doveva essere spartana in realtà era stata modificata per alloggiare l’importante ospite, con parecchie comodità che non avrebbero dovuto trovarsi in un edificio sacro simile. Decisi di escogitare un modo per tornare in cima alla montagna, chiedendo aiuto alla gente del villaggio vicino. Mi indicarono un gruppo di operai che stavano lavorando al tempio. Iniziai a parlare con loro, gli offrì diverse bottiglie di soju e a giocare a carte con loro, premeditatamente perdendo e dandogli i soldi scommessi. E quando il momento fu opportuno gli dissi che volevo salire sul loro pulmino per entrare all’edificio sacro. Gli diedi ancora più soldi perdendo al gioco e ancora più alcol…accettarono di aiutarmi, anche perché odiavano l’ex dittatore. Mi cambiai di abiti, mi sporcai un pò la faccia e nascosi la mia attrezzatura fotografica tra i loro attrezzi, partimmo e superammo senza problemi i 3 posti di blocco per arrivare al tempio dove potei finalmente scattare le mie foto.

Il mio boss fu molto felice una volta che tornai a Seoul.”

“Dopo questa avventura rimasi ancora a lavorare per qualche anno presso questa redazione, per poi passare a Premiere, nota rivista cinematografica. 

In realtà durante quel periodo stavo pensando di diventare fotogiornalista di guerra, ma mia madre non me lo permise.

Dissi al direttore che avrei lavorato con loro a patto di fare quello che volevo, scattare e lavorare a modo mio, ricercando uno stile particolare e personale, non avevo intenzione di riproporre la solita foto con le solite pose, più e più volte. 

La mia proposta venne accettata felicemente e così iniziai a fotografare modelli, attori famosi e registi cinematografici internazionali, divertendomi a fare come mi piaceva.

Un giorno ebbi un colpo di fortuna incontrando il regista di Hong Kong Wong Kar-Wai, con lui feci uno scatto che diventò molto popolare, creando interesse nell’industria cinematografica dei tempi.”

“Quella foto cambiò per sempre la mia carriera.”

“Io e i miei colleghi avevamo in tutto 15 minuti di tempo con il regista, 5 dei quali per me e per le mie foto. Eravamo nella sua stanza d’albergo e volevo creare qualcosa di unico con quel personaggio. Ci spostammo nel bagno della sua stanza dove trovai un giornale. La prima idea era di fargli leggere quella rivista, ma il semplice tenere quei fogli nelle sue mani non era quello che volevo mostrare, non era abbastanza speciale. Il regista fumava sempre molto, quindi mi venne un colpo di genio: fargli dare fuoco alla pubblicazione cartacea! Cosa che gli piacque parecchio e che lo portò a concedermi molto più tempo con lui. La foto che scattai ebbe un grande successo”

“Passai 9 anni lavorando per la rivista e 2 anni come freelance in quanto aprii il mio studio fotografico privato allo stesso tempo. Le immagini che realizzavo erano davvero apprezzate, incontrai molti personaggi famosi del cinema che erano felici di lavorare con me, ero fiero di me stesso e di quello che facevo. Erano gli anni della prima ondata del Korean Wave”

“Quando avevo circa 40 anni inaugurai la mia rivista personale, Star Magazine, che trattava del mondo dello spettacolo, attori, attrici, cantanti. Era una pubblicazione internazionale tradotta in inglese, cinese e giapponese. Sin da quando iniziai la mia carriera il mio sogno era quello di avere una mia testata giornalistica, ma fu una scelta che rimpiango ancora oggi…un passo falso nella mia vita lavorativa. Non sono mai stato un businessman, sono un fotografo. Per sette anni fu davvero molto stressante e pesante, gli affari non andavano bene e persi tutti i miei risparmi in questo progetto. Inoltre non avevo più tempo da dedicare alla mia passione in quanto ero super impegnato nella gestione della rivista.

Una lezione che imparai da questa avventura è che ci si dovrebbe dedicare solo alle cose che si sanno fare bene e non a quello che si pretende di sapere fare. Se solo potessi tornare indietro non rifarei questa scelta. Fu un vero disastro economico nel quale persi anche la mia passione per la macchina fotografica.” Per fortuna Jae Sung racconta questo infausto aneddoto della sua vita con un grande sorriso che illumina il suo volto.


“Per diverso tempo fui impegnato in diversi business, dimenticai del tutto la mia passione. Ma da circa tre mesi, dopo quasi 13 anni di assenza dietro la lente, sono nuovamente freelance per un magazine di cultura coreana e ho ritrovato la mia passione. Scatto fotografie ad artisti, produttori culturali, curatori di gallerie e funzionari pubblici facenti parte del ministero della cultura. Pensavo sarebbe stato non molto emozionante come lo era per me in precedenza lavorare con attori e personaggi famosi, ma ho scoperto che mi piace fare foto di ritratti alla gente comune, persone che non sono abituate a mettersi in posa e a indossare una maschera ogni volta che li si deve fotografare. Sono molto più puri e reali, mi permettono di entrare nel loro intimo scoprendo parti della loro personalità che nessuno vedeva, riesco a scoprire la loro innocenza nascosta, una cosa davvero speciale e intima che ho l’onore di scoprire e di esserne testimone. 

Ero preoccupato vista la mia assenza dietro l’obiettivo durata molto tempo…sarei stato ancora all’altezza di quello che ero in grado di fare? Ma come ho preso in mano di nuovo la mia macchina fotografica tutti i miei sensi e il mio corpo si sono come risvegliati, ricordando tutto quello che avevo appreso in anni di studi ed esperienza, ero di nuovo felice, la mia passione era ritornata!”

“Quando ero giovane non avevo bene idea di cosa fosse scattare fotografie per me, era solo qualcosa che mi piaceva. Ora ho realizzato che la fotografia è la mia vita. Le mie fotografie provengono dal mio cuore. Osservo la gente, le espressioni facciali, cosa ci può essere dentro una persona, il suo corpo in posa è come se mi stesse parlando, aspetto solo il momento giusto quando si sta esprimendo appieno di fronte alla mia lente…e scatto, come se fossi un registratore. È tutto molto spontaneo, non penso a quello che faccio, è una cosa che viene naturale.
Grazie a questa esperienza ho capito che tutti noi dobbiamo fare quello che davvero amiamo e il resto viene da sé.

Ho avuto molti alti e bassi nella mia vita, non sono ricco ma ora che sono di nuovo con la mia macchina fotografica in mano sono davvero felice, è stato come ritrovare una persona che non vedevo da molto tempo.

Bentornato vecchio amico mio!”


Il link al suo sito web personale con i suoi lavori: exhibitiontalk.com


Luca Sartor

Esploratore indipendente, innamorato dei paesi e delle culture asiatiche. In viaggio da sempre, vivo da anni nel continente asiatico. Seguitemi su INSTAGRAM @lucadeluchis