E’ una freddissima serata di Gennaio e assieme ad Enzo, un amico francese, sto passeggiando per le vie di Hongdae, una vivace area concentrata attorno all’università di belle arti di Hongik (Hongik Daehakgyo in coreano, che abbreviato diventa Hongdae) nella parte ovest del centro di Seoul. Qui moltissimi bar e club alternativi sono nati negli anni passati anche se ora la tendenza si sta spostando verso la musica commerciale e la zona sta diventando meta di giovani appassionati della scena k-pop legata alle idol bands. Molti giovani vengono qui in cerca di popolarità mostrando le loro doti canore e di danza nelle strade affollate, sognando di essere i prossimi idoli della corea che stanno iniziando a spopolare anche all’estero, soprattutto qui in Asia.
Passiamo vicini ad uno dei tanti club e sentiamo una musica provenire da uno di essi, paiono vibrazioni sonore piacevoli e dato la bassissima temperatura che c’è qui fuori decidiamo di spingerci verso il più accogliente scantinato.
Qui una band di giovani coreani sta suonando un concerto davanti ad uno scarno ma attento pubblico: la convenzionale preconfezionata e senza anima musica mainstream ha preso il sopravvento e la gente preferisce ascoltare canzoni totalmente vuote ma che vengono pompate ininterrottamente da televisioni e radio finendo per diventare “la musica da ascoltare”, un altro regalo della manipolazione di massa delle nostre società consumiste a discapito di forme di espressione libere ed indipendenti che potrebbero essere più interessanti e vicine alla sensibilità personale degli ascoltatori, come le canzoni di questo giovane gruppo di indie rock coreano.
Timida dolcezza che si mischia ad una sconfinata ribellione sonora per generare una musica toccante.
Un susseguirsi di canzoni create utilizzando una struttura semplice di pochi accordi ben piazzati e arrangiamenti curati come fossero poetiche sfumature che raggiungono zone dell’anima spesso rimaste assopite, in attesa di uno stimolo esterno come queste espressioni artistiche piene di passione.
Venendo a contatto con diverse culture e società e guardando la nostra dall’esterno quello che mi è saltato subito alla mente è l’estrema conformizzazione da parte di tutti noi ad un sistema imposto al quale crediamo e che accettiamo senza mai farci domande o ribellarci psicologicamente. Un’autorità esterna legata alla politica, alla religione, al nostro sistema di istruzione che ci conforma, come una musica che ci è stata messa in testa, che ci è stata suonata sin da quando eravamo bambini e che ora ci piace perché non siamo abituati ad ascoltare altro e soprattutto non siamo stati spinti a trovare la nostra personale melodia.
Il concerto è finito e usciamo dopo esserci complimentati con il gruppo, ringraziandolo per averci regalato un attimo di appassionante e ribelle emozione legata alla libertà che è lì a portata di tutti.
In strada si sentono le canzoni provenire dagli stracolmi club e bar, tutte uguali.