In un seminterrato di una grande città un anziano uomo dagli occhi stanchi sta sorseggiando del vino, seduto a un tavolo di un bar totalmente vuoto.
I mobili che lo circondano sono vecchi quanto la canzone ovattata che sta suonando da un malconcio speaker gracchiante.
Vestito elegantemente, illuminato da una luce fioca, controlla il telefono mentre si versa dalla bottiglia che sta finendo un ultimo bicchiere di vino.
Sguardo perso nei suoi pensieri mentre fissa il disco graffiato che sta girando facendo faticare la puntina del giradischi, dal quale si espande una opaca melodia malinconica. Nei suoi occhi il riflesso blu dei led dell’amplificatore che vanno a dissolversi nel più profondo dei suoi ricordi, come un filo di luce che lo riconduce a ritroso lungo le esperienze passate della sua vita.
Posa il bicchiere, si aggiusta il cappello e indossa la mascherina abbandonando il locale che lo ha ospitato per quasi ogni notte di questi ultimi anni.
Sale le scale fino verso l’uscita, sospira prima di aprire la porta che lo proietta nella notte di un mondo oramai deserto, dove nessuno passa più.
Ha lo sguardo fisso sulla strada vuota, ricorda i tempi quando la gente lo circondava e le persone che aveva amato, un volto su tutti che da troppo tempo non vedeva più ma che continuava ad accarezzare col pensiero, una persona che gli aveva insegnato che un’anima poteva sanguinare.
Si toglie la mascherina, come un guerriero si toglie l’armatura dopo una battaglia finale, dà un colpo di tosse e si accascia lentamente e dolcemente per terra, come una foglia che cade da un albero cullata dal vento.
Era l’ultima persona sulla terra.